Mararona: parte 2

Forse il termine che potrei usare per descrivere le maratona è : esaltazione. O forse adrenalina. O forse ancora gioia pura. Ma credo sarebbe riduttivo. I sentimenti e le emozioni che ho provato durante la corsa sono stati contrastanti, passavo da zero a cento in pochi secondi, e la stessa cosa capitava all'inverso... da cento a zero. Alla partenza come negarlo che mi sentivo la Dea dello sport? La regina del mondo? Sei li e ti senti più figo che mai, pensi di essere il migliore e pure onnipotente. Ci sono altre 53 mila persona accanto a te, e altrettante nelle precedenti 47 edizioni, eppure ti senti unico e speciale. Senti che il mondo è tuo, senti che potresti morire oggi ed essere comunque felice perché senti di aver vissuto e rincorso degli obiettivi e dei sogni.
Sul ponte di Verrazzano ho mosso i primi passi insieme a tantissimi altri runner e ho dato il via alla mia gara. Si inizia in salita, si cerca di guardare oltre il ponte ma non si riesce per almeno un chilometro. Poi arriva la discesa e con essa un mosaico di puntini di tutti i colori che seguono la strada formando un serpentone. C'e già chi cammina aimè. Il mio fisico è in forma, scattante e desideroso di fare bene. Il mio pensiero è concentrato sul presente, sulle magliette dei miei rivali, sulla loro cadenza, sui messaggi originali e profondi che leggo stampati sul retro delle canotte. C'è chi semplicemente ha stirato il logo di superman con le sue iniziali, c'è chi ha scritto no pain no gain, c'è chi corre in memoria di un amico, genitore o parente. C'e chi corre per lottare contro una malattia come il cancro. C'è molta sostanza in questa gara, molti messaggi, molto cuore e molta anima. Stai correndo per te eppure queste parole ti colpiscono, ti segnano, ti entrano dentro. È la forza di chi non vuole mollare, un inno alla vita e alla lotta.  Al termine del ponte  Verrazzano lasciamo Staten Island e ci immettiamo nel quartiere di Brooklyn. Ha quindi inizio la festa! Ci sono migliaia di persone lungo il percorso che incoraggiano, che urlano, che cantano e che ballano. Ad ogni chilometro una banda dal vivo suona musica per allietare i corrodori e gli spettatori. Questi musicisti ci regalano una grande carica, rendono il nostro sforzo più leggero, ma nel contempo ti fanno anche dubitare di voler correre davvero. Io mi sono allenata a lungo per affrontare questa gara, ma sentendo questo mood festoso mi viene voglia di fermare i miei piedi ed iniziare a ballare. Ballare e riballare fino a notte fonda accompagnata da questo meraviglioso pubblico. Le poliziotte fanno il tifo suonando il fischietto d'ordinanza, la gente travestita da carnevale si fa avanti e cerca la tua attenzione, i bambini allungano la mano per cercare il 5, i commercianti ti offrono cibo ad ogni angolo e i più originali scrivono cartelloni per convincerti a non mollare. Mi sarei fermata da ogni persona a scambiare due chiacchiere e a ringraziare per il calore, mi sarei fermata ad ogni sorriso per ricambiare l'affetto, mi sarei fermata ad ogni scorcio romantico e significativo per scattare una foto. Ma a che ora sarei poi arrivata al traguardo?? Devo sforzarmi per continuare la corsa nonoatante questo ambiente festoso. Il cartello che più mi ha fatto ridere diceva:"scegli un bel culo e seguilo!". Al chilometro 12 mi arrivano delle fitte acute e potenti al ginocchio destro. Ovviamente mi impensieriscono e mi rendono guardinga. Sento dei cedimenti al ginocchio ed ho paura che possa peggiorare. Mi faccio coraggio e continuo a correre con una falcata agile. Al chilometro 20 sto andando in crisi di fame. Come un lupo famelico mi fiondo a lato della strada e cerco nel gentil pubblico qualcuno che mi possa nutrire. Raccolgo un pezzo di arancia, poi un pezzo di pera, 2 bon bon zuccherosi e un pezzo di biscotto. Decido di mangiare tutte e subito, altrimenti finisco il carburante e mi fermo. Pochi chilometri più avanti, agli stand di rifornimento, regalano i gel energetici. Li odio con tutta me stessa ma non sono nelle condizioni di poter fare la schizzinosa. Nel frattempo abbiamo percorso il quartiere del Queens e ci apprestiamo ad entrare a Manhattan. Prima di poterlo fare dobbiamo valicare un ponte di ferro infinito e temibile.  Terminato il Queensboro bridge veniamo catapultati nella diritta strada americana che ci conduce nel Bronx. La strada di Manhattan corre come un proiettile ed è un sali scendi continuo. L'asfalto comincia ad usurare le gambe, ma io e gli altri soci non molliamo. Siamo già oltre il giro di boa e ci dirigiamo verso il Bronx. Altro ponte da superare. Una volta visitato questo quartiere rientriamo su Manhattan e ci fiondiamo verso il traguardo, verso Central Park. Le forze iniziano a mancare, l'orologio inesorabile corre avanti. Io faccio del mio meglio per non pensare al dolore, per non pensare alla fatica e per non decidere di smettere.  La mente è focalizzata sulla gara, e io cerco di non lasciare che dei pensieri negativi prendano il sopravvento. Elo stai concentrata, Elo non mollare. È stata una gara dura ma nel contempo leggera, perché la mente non aveva lo spazio per macchinare, era travolta dalla festa e dall'ambiente e non aveva margine di manovra. E finalmente arriva il parco, con le sue ultime salite da odio puro. Mancano 3 chilometri, ma sembrano infiniti. Chi mi ha messo del piombo sulle scarpe? Chi mi ha tarpato le ali? Perché sto correndo contro vento? Dai Elo, non puoi mollare ora. Mancano 1000 metri. Davvero?? Non ci posso credere! Mi fermo a fare 2 foto ed un filmatino. Non mi capiterà piu di rifare la maratona, devo accaparrarmi qualche ricordo. Mancano 400 metri, non ci posso davvero credere! Ce l'ho fatta? Sul serio? Vedo l'arrivo, aumento la falcata, mi godo l'incitamento del pubblico! Mancano 200 metri, i miei occhi brillano. Mancano 100 metri e il mio cuore stanco sussulta. Vedo la linea del traguardo, alzo le braccia al cielo, esulto e passo la tanto agognata linea del traguardo. Non ci credo. Ci sono, sono arrivata, ce l'ho fatta!! Improvvisamente sale dal cuore una grande emozione e le lacrime affiorano come un fiume in piena. Mi sento viva, appagata, felice e vuota, o per meglio dire, in uno stato di pace.

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